RASSEGNA STAMPA

IL MANIFESTO - «Dimostrato, chi indaga sulla polizia ha solo sfighe»

Roma, 15 novembre 2008

IL PM DELL'ACCUSA «Dimostrato, chi indaga sulla polizia ha solo sfighe»
Difese ideologiche e giudici prudenti «Lo saranno per i cittadini normali?»

Sara Menafra

Dottor Zucca, ieri sera ha lasciato l'aula del processo Diaz, in cui per tre anni ha sostenuto l'accusa assieme a Francesco Cardona Albini, mentre il pubblico urlava «vergogna vergogna» ai giudici che hanno respinto le vostre richieste di condanna. Ieri mattina come si sentiva?
Sollevato. Con la coscienza di aver esaurito un compito, sapendo dal principio che non avremmo avuto alcun diritto sul risultato.
Gabrio Barone, il presidente del collegio giudicante, ha detto che non c'era prova a supporto delle vostre accuse.
Leggeremo la sentenza, ma prima di lui molti giudici, troppi giudici hanno sostenuto che il processo si doveva fare, qualcuno ha addirittura scritto che c'era una sovrabbondanza di prova. È il tema su cui si misureranno le motivazioni.
È stato detto che avevate ipotizzato un grande disegno criminoso che coinvolgeva i vertici della polizia. E che quel disegno non c'era.
I pm non hanno mai detto che ci fosse un unico disegno. Quattordici poliziotti che firmano un verbale sono imputati di aver sottoscritto un falso, un documento che parlava di prove inesistenti contro chi dormiva nella scuola. Che il verbale sia falso lo dice anche il giudice e da anni la Cassazione spiega che chi sottoscrive un verbale deve parlare solo di quello che percepisce direttamente e, se riceve informazioni da un'altra persona, deve dire chi è la fonte. Se a firmare c'era anche l'attuale capo dello Sco Gilberto Caldarozzi cosa dovevamo fare? Abbiamo chiesto agli imputati cosa avevano visto e, ad esempio, dove hanno trovato le molotov portate nella scuola. Hanno risposto solo «io non c'entro, non ho visto niente». È quello che dicono i ladruncoli. Ai nostri imputati non è tornata la memoria neppure dopo aver visto un filmato che li inquadrava mentre si passavano le bottiglie di mano in mano. O dopo che abbiamo provato che molti di loro erano entrati nell'edificio. Dire che credevamo in un teorema è una accusa ideologica, a difesa ideologica della polizia.
Avete portato alla sbarra i vertici della sicurezza italiana, le istituzioni hanno reagito.
Non è un stato un processo alla polizia. Volevamo solo sapere se gli autori della perquisizione alla Diaz e degli arresti erano degli ignavi o hanno avuto la consapevolezza di fare cose che non dovevano fare, anche se per un fine che ritenevano lecito. La «perversione per una nobile causa», espressione che abbiamo usato nel processo e che qualcuno ci contesta, è un concetto coniato da un ispettore della polizia londinese che indagava sui poliziotti. I fenomeni di cui stiamo parlando sono capitati e capitano in tutto il mondo. In tutto il mondo la polizia commette reati e aggiusta le prove, o per fare carriera o per sostenere un'inchiesta. Non è una bestemmia dire che queste cose succedono, che bisogna comprendere il fenomeno e capire cosa lo ha generato.
In questi anni ha subito pressioni per le sue indagini?
Non ho mai ricevuto telefonate da politici.
Le motivazioni della sentenza ancora non ci sono. Ma un giudizio su questa vicenda ce l'avrà.
Dico solo che spero che si possa imparare più da questa sconfitta dell'accusa di quanto si è imparato dalla vittoria dei poliziotti, coi loro relativi trofei, nella notte della Diaz. La sconfitta dell'accusa ci parlerà di quale debba essere il livello di certezza della prova nel processo penale. Se si alza questo livello e il giudice ci spiega con chiarezza quanto si deve alzare avremo qualcosa da imparare. Anche domani, quando alla sbarra non ci sarà un poliziotto, ma un cittadino qualunque.
Avete detto e scritto che ci sono state testimonianze reticenti e false. Come si è sentito, lei che, come tutti i pm, coi poliziotti lavora tutti i giorni?
Questo processo sarebbe finito o mai nato se chi ha fatto le cose descritte nei verbali fosse venuto a dirlo in aula.
Le condanne per le lesioni sono state lievi e in ogni caso il processo non ha rintracciato i singoli picchiatori.
Quando abbiamo cercato di sapere quali agenti erano entrati nella scuola, la polizia ci ha mandato elenchi incompleti, fasulli. In una delle liste c'era persino un agente ricoverato. L'ipotesi inquietante è che siano abituati a fare così, ma la scartiamo.
Farete appello?
La sentenza non c'è ancora. Non proseguiremo solo per sostenere il nostro convincimento.
Si aspettava questa sentenza?
Le statistiche mondiali dimostrano che i pm che indagano sulla polizia non hanno particolare gloria, ma solo sfighe.
E allora perché farlo?
Era nostro dovere.